Nato a Bari, Pino Pascali è stato forse l’artista pugliese più celebre di tutto il Novecento italiano. Ebbe una carriera breve e folgorante come scultore, scenografo e performer, coniugando in modo inatteso e creativo forme primarie e mitiche della cultura e della natura mediterranee (la Grande Madre e Venere, il Mare, la Terra, i Campi, gli attrezzi e i riti agricoli) con le forme infantili del Gioco e dell’Avventura (animali della preistoria, dello zoo e del mare, giocattoli di guerra, il mondo di Tarzan e della giungla, bruchi e bachi, travestimenti). Tutto questo bagaglio di temi fu tradotto dall’artista in forme monumentali e strutture essenziali che talvolta rimandavano alle icone della cultura di massa, senza per questo diventare esponente della Pop. Al contrario, realizzando i propri lavori con materiali fragili ed effimeri – come la tela, il legno, la lana d’acciaio, il pelo acrilico e la paglia – diede una risposta personale alle tendenze che nel corso degli anni Sessanta si affacciavano dagli Stati Uniti, come la Pop Art o la Minimal Art, e precorse in alcuni casi movimenti come l’Arte Povera e la Body Art.
Dopo aver trascorso un anno (1940-41) a Tirana al seguito del padre che, funzionario di Polizia, era stato lì trasferito, torna a Polignano. Nel 1956 si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Roma, dopo aver conseguito la maturità artistica a Napoli. Durante gli anni romani segue con passione il corso di scenografia di Toti Scialoja, frequenta gli artisti del Gruppo di Piazza del Popolo e comincia sin da subito ad esporre: all’Istituto Tommaseo di Tivoli (1956), al Circolo Culturale delle Vittorie (1956), al Festival dei Due mondi di Spoleto – Mostra di Scenografia (1959).
Già prima di diplomarsi all’Accademia nel 1959 aveva iniziato a lavorare come scenografo per alcune produzioni Rai, eseguendo bozzetti e disegni, creando personaggi e cortometraggi per spot pubblicitari e trasmissioni come Carosello. Oltre a queste attività, Pascali porta avanti anche un lavoro personale di ricerca artistica. Tra il 1960 e il 1964 realizza opere new dada, in gran parte distrutte, per desiderio dell’artista, dal padre all’indomani della sua morte. Nel 1965 tiene la sua prima mostra personale alla Galleria La Tartaruga di Roma, esponendo opere come Pezzi di donne, Muro di pietra e Ruderi sul prato, e imponendosi nel giro di soli tre anni all’attenzione dei maggiori critici d’arte, come Vivaldi, Calvesi, Grandi, Rubiu, Boatto, Bucarelli e De Marchis. Lo stesso anno espone anche alla Galleria Ferrari di Verona l’opera Grande come un cucciolo, in occasione della collettiva La critica e la giovane pittura italiana e presenta il Teatrino alla mostra Realtà dell’immagine, tenutasi alla Libreria Feltrinelli di Roma. In estate organizza l’installazione-performance al titolo Requiescat presso la Galleria La Salita e la Torre Astura di Nettuno e, infine, una seconda personale Revolt 1 a Palermo, oltre a partecipare a un gran numero di mostre collettive in Italia e in Francia.
Nel 1966 accetta l’invito della Galleria Sperone di Torino, dove porta diverse opere: il Cannone “Bella Ciao”, il Cannone semovente, il Lanciamissili Uncle Tom and Uncle Sam, il Missile “Colomba della pace”, le Mitragliatrici e le Bombe a mano. Si tratta di opere che più che strizzare l’occhio alla Pop Art, confinano con la scenografia. Nell’autunno dello stesso anno presenta da Fabio Sargentini il ciclo degli animali e quello dei trofei con opere come: Il mare, Barca che affonda e Balene. Espone anche a Napoli: alla Libreria Guida e alla Galleria Il Centro dove propone una collettiva articolata in due sezioni e dove presenta Torso di negra al bagno. La mostra, intitolata Tendenze confrontate, e articolata in L’arte visuale e Figurazione oggettuale, ebbe diverse edizioni a Stoccolma, alla Galleria dell’Obelisco e alla Galleria della Tartaruga a Roma, alla Troisième Exposition Internationale de Sculpture Contemporaine presso il Musée Rodin di Parigi, alla VI Annuale Jugoslavia-Italia d Porec e alla Galleria Deposito di Genova.
Ma non è tutto: sempre nel 1966 l’artista fu invitato dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma a partecipare con due opere alla mostra Aspetti dell’Arte Italiana Contemporanea, destinata a itinerare a Cannes, Dortmund, Colonia, Oslo, Belfast ed Edimburgo.
Nel 1967, la Gelleria L’Attico organizza la prima personale di Pascali all’estero: alla Thelen Galerie di Essen, Germania. Presenta nello stesso periodo un ciclo di nuove opere ispirate agli elementi della natura: Pozzanghere, 1 metro cubo di terra, 2 metri cubi di terra. Opere che torneranno anche nella mostra del 1967 di Germano Celant Arte Povera – Im-spazio a Genova. Presenta Ricostruzione della balena alla mostra Exhibition of Contemporary Italian Art a Tokyo e Kyoto; mentre altre tre opere, Campi coltivati, Cornice di fieno e Canali d’irrigazione, sono esposte alla Galleria Jolas di Milano. Lo stesso anno, infine, presenta Campi arati e Canali d’irrigazione alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma.
Nel 1968 è in mostra alla Galleria Art Intermedia di Colonia, inoltre presenta Vedova Blu: opera pensata per la VI Biennale di Roma a Palazzo delle Esposizioni. Espone alle mostre del gruppo dell’Arte Povera e presenta Bachi da Setola alla Jolas Galerie di Parigi. Nel corso dell’estate partecipa, con una sala personale, alla XXXIV Biennale di Venezia. Fu questa l’occasione della consacrazione definitiva, ma anche della vincita postuma del Premio Internazionale per la Scultura.
La prima grande retrospettiva gli fu dedicata dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma nel 1969, un anno dopo la prematura scomparsa a causa di un incidente motociclistico.