Gino Severini

Originario di Cortona, Gino Severini giunse giovanissimo a Roma. Qui, nel 1900 conobbe Giacomo Balla, il quale lo avviò alla conoscenza della pittura divisionista, successivamente approfondita nel soggiorno parigino a partire dal 1906, come dimostrano le opere Bois de Boulogne (1907) e Primavera a Montmartre (1909). Nella capitale francese, Severini fece la conoscenza dei maggiori intellettuali del momento, nonché di diversi colleghi: Pablo Picasso, Georges Braque, Juan Gris, Paul Signac, Amedeo Modigliani e Guillaume Apollinaire, solo per citarne alcuni.
Nonostante la permanenza a Parigi, Severini non interruppe i contatti con l’Italia: nel 1909 fu tra i firmatari del Manifesto del Futurismo scritto da Filippo Tommaso Marinetti e l’anno successivo aderì insieme a Balla, Boccioni, Carrà e Russolo al Manifesto dei Pittori Futuristi.
Nel 1912 convinse Umberto Boccioni e Carlo Carrà a raggiungerlo nella città d’oltralpe, dove, presso la Galleria Bernheim-Jeune, fu organizzata la prima mostra del movimento. Ad ogni modo, anche le successive mostre futuriste organizzate sia in Europa che in America lo videro protagonista. Il 1913 fu l’occasione per l’organizzazione di una prima mostra personale alla Marlborough Gallery di Londra, in seguito allestita anche alla Galleria Der Sturm di Berlino.
In questi anni le opere di Severini furono influenzate non solo dal Futurismo, movimento a cui aveva evidentemente aderito, ma anche dal Cubismo, oltre che da temi diventati ormai dei nuovi classici, soprattutto in Francia, come il cabaret. Ne sono testimonianza: La danza del pan pan al Monico (1911), il Geroglifico dinamico del bal tabarin (1912), Ballerina blu (1912), La chahuteuse (1912), Le restaurant a Montmartre (1913), Primavera a Montmartre (1913) e Natura morta col giornale Lacerba (1913).
Tra l’ottobre 1917 e l’agosto 1918 pubblicò una serie di articoli dal titolo La Peinture d’avant-garde su De Stijl: rivista olandese dedicata al Neoplasticismo.
Nel 1921, all’indomani della Prima Guerra Mondiale, si può affermare che l’estetica di riferimento di Severini fosse cambiata. Se prima del conflitto, infatti, l’artista si muoveva tra il Futurismo e il Cubismo, dopo volse i suoi interessi verso una pittura più quieta, Metafisica e Neoclassica come dimostra il trattato pubblicato proprio quell’anno: Du cubisme au classicisme. Questo volgersi ad un bagaglio rappresentativo più mite, lontano dalla frenesia futurista, spesso definito come “Ritorno all’Ordine” interessò tanto Severini quanto altri colleghi come Picasso e De Chirico, il quale ne scrisse per la prima volta nel 1919 sulla rivista Valori Plastici.
Nel decennio 1924-1934, Severini subì una crisi religiosa che lo portò ad interessarsi quasi esclusivamente all’arte sacra. Si dedicò così ad affreschi e mosaici come quelli realizzati per le chiese svizzere di Semsales (Friburgo, 1924-1926) e La Roche o come I Dieci Comandamenti per il Palazzo di Giustizia di Milano, o i cicli decorativi del Castello di Montefugoni (Firenze, 1922), per il palazzo della Triennale di Milano (1933), per l’Università di Padova e il Foro di Mussolini a Roma (1937).
Nel 1923, Severini fu presente alla Biennale di Roma, mentre nel 1926 e nel 1929 fu incluso nelle mostre milanesi e in quella ginevrina del movimento artistico Novecento. Nel 1930 fu ammesso per la prima volta alla Biennale di Venezia e nel 1931 e 1935 partecipò alla Quadriennale romana. In particolare, in quest’ultima occasione, con una sala interamente dedicatagli con 36 lavori diversi, si aggiudicò il Premio per la Pittura. Nel 1935 si trasferì a Roma, salvo poi alternare periodi di permanenza più o meno lunghi a Parigi, città in cui sarà presente con una grande decorazione per l’Esposizione Universale. Ancora a cavallo tra l’Italia e la Francia, nel 1938 molti dei suoi mosaici furono esposti alla Galleria della Cometa.
La fine della Seconda Guerra Mondiale, portò Severini nuovamente ai soggetti del periodo futurista e all’astrazione geometrica d’ispirazione cubista. Nella primavera del 1947 espose a Parigi in una mostra organizzata dall’amico Guido Seborga nella galleria Billiet di Gildo Caputo. Tra il 1949 e il 1950 aderì al progetto della Collezione Verzocchi: una raccolta di quadri – oggi conservata presso la Pinacoteca Civica di Forlì – voluta dall’imprenditore Giuseppe Verzocchi e tesa a creare un legame – forse il primo tentativo in questo senso – tra l’arte contemporanea e l’industria. La commissione consisteva nel realizzare un’opera di dimensioni prefissare sul tema del lavoro e un autoritratto. Moltissimi furono i pittori che accettarono otre a Severini: De Chirico, Guttuso, Casorati, Carrà e Vedova sono solo alcuni dei loro nomi. Severini presentò un autoritratto, oltre all’opera Simboli del lavoro.
A partire dalla metà degli anni Quarata, Severini, diventato ormai un modello per le generazioni di artisti più giovani, cominciò a dedicarsi sempre più spesso alla saggistica critica, oltre che a volumi autobiografici. Scrisse infatti: Arte indipendente, arte borghese, arte sociale (1944), Tutta la vita di un pittore (1946), Témoignages – 50 ans de réflexion (1963) e Temps de l’effort moderne. La vita di un pittore (postumo 1968).
Trasferitosi infine a Parigi, morì qui nel 1966. 

Bibliografia scelta

  • Mannocci L., Risaliti S. (a cura di), Solo – Gino Severini. Firenze: Edizioni Polistampa, 2019.
  • Fonti D., Severini: l’emozione e la regola. Cinisello Balsamo (MI): Silvana Editoriale, 2016.
  • De Marco G., Fondo Severini: inventario. Rovereto (TN): Zandonai, 2011.
  • Fonti D., Gino Severini. Catalogo Ragionato. Milano: Arnoldo Mondadori, 1988.

Bibliografia scelta

  • Mannocci L., Risaliti S. (a cura di), Solo – Gino Severini. Firenze: Edizioni Polistampa, 2019.
  • Fonti D., Severini: l’emozione e la regola. Cinisello Balsamo (MI): Silvana Editoriale, 2016.
  • De Marco G., Fondo Severini: inventario. Rovereto (TN): Zandonai, 2011.
  • Fonti D., Gino Severini. Catalogo Ragionato. Milano: Arnoldo Mondadori, 1988.